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Un disperato grido di aiuto si leva nuovamente dai popoli dell'Amazzonia: le coltivazioni di soia aumentano a dismisura grazie alla politica agricola non completamente oculata di Bolsonaro il quale sta facendo comunella con i cinesi che hanno sempre più necessità del legume e grazie anche al fatto che i prezzi smodatamente bassi del prodotto riescono ad aggirare i dazi imposti da Trump.
Il prossimo anno il Brasile potrebbe diventare il maggiore produttore di soia del globo superando gli Stati Uniti complice l'abnorme richiesta della Cina e della guerra dei legume tra Pechino e gli USA: infatti la Cina ha preferito rivolgersi ai produttori brasiliani per il minor costo del legume sudamericano rispetto a quello americano. Per evadere la richiesta cinese dunque sono necessarie 40 tonnellate, più o meno, in più rispetto alla produzione attuale con un aumento, sentite bene, delle piantagioni del 39% (fonte Nature) il che in parole povere vuol dire che questa eccedenza di produzione dovrà essere soddisfatta tasformando le già ridotte riserve boschive dell'Amazzonia, in campi coltivati, a soia. Ricordo a tutti, anche se ci fa comodo non ricordarlo, che l'Amazzonia è IL POLMONE DEL NOSTRO PIANETA.
C'è una sorta di autostrada che collega Boa Vista capitale dello stato brasiliano del Roraima con Bonfim, il paese che più è vicino alle terre degli indigeni dell'Amazzonia. Queste terre tra l'altro fanno anche molta gola per il costo molto basso del terreno ( un ventesimo rispetto al resto del paese) e per il clima particolarmente favorevole per la crescita della soia.
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Negli ultimi 5/6 anni le coltivazioni sono aumentate del 136% per un totale che si stima in 50.000 ettari di coltivazione in più. Pensate però che per soddisfare la richiesta cinese di ettari ce ne vogliono la bellezza di 13 milioni. La crescita dei campi coltivati quindi è inarrestabile e va a discapito del "lavrado" che è una sorta di savana, ecosistema unico al mondo, che si trova proprio a ridosso dell'Amazzonia e dei terreni e dei boschi degli Indigeni. Iabutì era un villaggio intorno al quale cresceva fiorente il lavrado e che ora è diventato un'unica, piatta coltivazione di soia. Ed i latifondisti chiamati ruralistas, premono per introdursi all'interno della terra legalmente restituita dallo stato brasiliano ai popoli Macuxi e Wapichana. Proprio i latifondisti usano metodi biechi per riuscire nel loro intento: si insinuano nel tessuto sociale dei 500 Indios di Iabutì offrendo loro risibili beni materiali (mai visti da loro o comunque non di uso comune come potrebbe essere un'auto) e creando una spaccatura tra gli anziani e i giovani che asseriscono che questi ultimi vogliano fermare il progresso... il progresso... un'auto, magari scassata per migliaia e migliaia di ettari di terreno!! Tuttavia i vecchi e più saggi cercano di sanare la spaccatura; del resto come dicono loro "... se perdiamo la nostra terra smettiamo di esistere. Moriremo come comunità e come popolo" dunque tentano disperatamente di resistere a questi serpenti a sonagli di latifondisti.
Dovrebbero ricordare i giovani Indios che la lotta per riavere indietro la loro terra è costata migliaia e migliaia di morti e che solo grazie alla Chiesa che ha interceduto per loro, è stato restituito al popolo amazzonico il 46% della superficie del Roraima suddiviso in 32 grandi appezzamenti. In tutto dieci milioni di ettari suddiviso per 11 tribù di cui una in completo isolamento. Secondo quel gran genio di Bolsonaro è a suo dire " troppa terra per pochi uomini" parole sue eh; sempre non ricordando che quelle "troppe" terre sono il delicato ecosistema che permette a tutti noi di sopravvivere. Edinho Batista della tribù dei Macuxi nonchè Presidente del Consiglio Indigeno del Roraima, asserisce che, cito: "Distruggere noi e il nostro modo di vivere vuol dire distruggere l'Amazzonia e il mondo". Senza contare che i popoli indigeni ancora rivendicano quattro territori e 22 già assegnati sarebbero ancora da espandere; la politica di restituzione dei territori agli indigeni però è rallentata grazie alla scellerata politica di coltivazione selvaggia e sicuramente non aiutata dal fatto che Bolsonaro è salito al governo.
Come se non bastasse è aumentata la pressione della "bancada ruralista" (un'oltraggiosa comunella tra latifondisti e alcuni parlamentari) la quale preme perchè i territori degli Indios vengano affittati; dovete sapere che secondo la legge degli indigeni la loro terra non può essere ASSOLUTAMENTE affittata. In base a questo non potendo far fuori gli Indios impunemente (almeno non come prima*), tentano anche qui, di minare le loro leggi.
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Ma non è ancora finita qui: ad un anno dall'elezione di Bolsonaro è stato rilevato dai satelliti spaziali dell'Inpe (Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale) un aumento del'88% della deforestazione in Amazzonia e zone limitrofe. E il contesto in Roraima è ancora peggiore poichè è stato dato l'incarico di governatore a, combinazione, Antonio Denarium noto produttore di soia ed, udite udite, rappresentante della cooperativa degli allevatori e produttori di carne di Stato, peggio che andar di notte. Dello stesso partito di Bolsonaro, il buon Denarium (che già il nome mette i brividi) non ha escluso una politica di espansione delle coltivazioni anche per attrarre ed incentivare investitori da altri stati, come se non bastasse.
Cosa hanno intenzione di fare gli Indigeni? Cito da Edinho Batista: "continuare a resistere... per noi ma anche per voi. Non lasciateci soli". Lasceremo inascoltato questo appello orgoglioso ma disperato? Mettiamoci una mano sulla coscienza, allora.
Olivia Arévalo Lomas - l'immagine potrebbe essere soggetta a copyright
*Vi racconto una cosa molto grave tanto per farvi capire quanta poca misericordia abbiano gli speculatori agricolo/politici. Chi è questa bella signora ritratta qui sopra? Lei è Olivia Arévalo Lomas indigena del popolo Shirbo Konibo del Perù uccisa nell'aprile del 2018 con ben 5 spari al petto mentre era all'interno della sua riserva. Olivia era una militante e protestava da decenni contro la deforestazione e l'alienazione delle tribù amazzoniche, aveva 80 anni.
Voglio augurarmi che per lei e per chissà quanti come lei sono stati sacrificati da uno stato criminale e lucroso noi tutti non si dimentichi e non si abbandoni questi popoli al loro destino e alla loro personale lotta che è personale sì ma che, come ho avuto modo di dire più volte in questo articolo, riguarda noi tutti, proprio tutti. Io per ora posso solo scriverne. Chissà che un giorno non possa parteciparvi attivamente. E' comodo stare su una bella poltroncina davanti ad uno schermo e sinceramente un pò me ne vergogno.
Sarebbe bello condivideste, non per me. Io ci credo davvero di poter fare qualcosa, grazie.
Enrica Merlo 14/08/2019
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